“Gioia mia” è un piccolo film prezioso, delicato e sorprendentemente profondo, che ci porta dentro un’estate lontana, sospesa tra modernità e tradizione, tra infanzia e vecchiaia, tra ciò che abbiamo perso e ciò che, forse, possiamo ancora recuperare con un po’ di coraggio.

Margherita Spampinato firma un esordio registico sensibile, costruendo un racconto che procede per pause, silenzi, timori infantili e affetti che nascono dove non ci si aspetterebbe.
Il risultato è un film che parla del tempo — del tempo che scorre, del tempo che si perde, del tempo che non tornerà più. Ma parla anche del potere degli incontri, di quanto ci possiamo cambiare a vicenda quando abbattiamo i confini tra mondi lontani.
I 3 motivi per cui vale la pena vedere “Gioia mia”
1. Un elogio alla lentezza e alla disconnessione in un mondo iperconnesso
“Gioia mia” osserva con dolce fermezza la differenza tra la solitudine di oggi — mascherata, affollata, digitale, spesso disperata — e quella di un tempo: una solitudine forzata, più nuda, che obbligava a confrontarsi davvero con le persone e con se stessi.
Nel palazzo senza Wi-Fi, senza elettrodomestici e senza rumori del mondo contemporaneo, Nico ritrova il senso del tempo perso, degli spazi vuoti, delle giornate che sembrano non finire mai. Non è nostalgia fine a sé stessa: è un invito a riconquistare un ritmo più umano e meno distratto, dove i tesori non sono dispersi tra mille possibilità, ma emergono nel rapporto vero e diretto con qualcuno.
2. Una storia fatta di piccoli momenti
Il film non ha l’urgenza del colpo di scena: sceglie invece l’intimità di un’estate semplice, fatta di misteri infantili, pomeriggi lenti, riti proibiti e paure da affrontare per crescere.
È proprio questa sua piccolezza a renderlo prezioso.
Si entra nel film come si torna a una casa lasciata tanti anni prima: riconoscendo odori, gesti, timori, leggende raccontate da zie o nonne che sembravano enormi e che invece servivano a insegnarci ad affrontare le prime grandi emozioni della vita.
Il racconto scorre con naturalezza, con pause che diventano parte del suo fascino.
3. Un cast di soli bambini e anziani: un incontro generazionale raro e sincero
Una delle scelte più coraggiose di Spampinato è quella di costruire un film dove i protagonisti sono quasi esclusivamente ragazzi e anziani, due categorie spesso relegate a comprimari.
Qui invece sono il cuore della storia.
Il rapporto tra Nico e la zia Gela è lo specchio di due mondi che non si incontrano quasi più: i nonni sono sempre meno “vecchi”, i nipoti sempre più “adulti”, e gli spazi condivisi si assottigliano.
“Gioia mia” restituisce il valore di quel legame antico fatto di racconti, superstizioni, regole rigide, affetto non esplicitato… e di trasformazioni reciproche.
Perché se Nico cresce superando le sue paure, anche Gela, magistralmente interpretata da Aurora Quattrocchi, si lascia scalfire, rivelando le ferite del suo passato.
Conclusione
“Gioia mia” è un film che invita a respirare, a tornare bambini, a ricordare ciò che abbiamo perso e ciò che potremmo ancora salvare.
Un’opera prima che sorprende per sensibilità, misura e autenticità.
