3 motivi per vedere “Die My Love”

Presentato alla 20ª Festa del Cinema di Roma nella sezione Best Of e in arrivo nelle sale italiane il 27 novembre distribuito da MUBIDie My Love segna il ritorno potente, viscerale e necessario di Lynne Ramsay, una delle registe più intense e radicali del cinema contemporaneo (…e ora parliamo di KevinYou Were Never Really HereMorvern Callar).

Protagonisti Jennifer Lawrence e Robert Pattinson, insieme a un cast di altissimo livello in cui brillano anche Sissy Spacek, LaKeith Stanfield e Nick Nolte.

Il film è tratto dal romanzo acclamato di Ariana Harwicz e racconta la storia di Grace (Lawrence), una donna che si trasferisce in campagna con il compagno Jackson (Pattinson), decisa a scrivere il suo romanzo mentre affronta la maternità. Ma ciò che appare come una nuova vita piena di promesse si trasforma in un lento naufragio interiore.

Jackson è spesso assente, troppo. La solitudine cresce. La pressione domestica diventa un peso insostenibile. Qualcosa, dentro Grace, comincia a incrinarsi. E il film ci porta lì, dentro quella zona pericolosa dove l’amore e la follia si sfiorano senza più confini.

È un film che forse solo una regista donna poteva dirigere, perché entra nelle profondità invisibili e dolenti della psiche femminile dopo il parto, in quel fragile equilibrio emotivo che nessuno vede ma che molte donne vivono.


Tre motivi per vedere Die My Love

1. Jennifer Lawrence: una prova attoriale feroce e indimenticabile

Dimenticate Katniss, dimenticate Il lato positivo, dimenticate perfino American Hustle. In Die My LoveJennifer Lawrence firma la sua interpretazione più radicale e vera di sempre.

La sua Grace è un corpo che esplode e implode, un volto che trattiene urla e desideri, una donna divisa tra l’istinto di sopravvivenza e la seduzione dell’abisso. Lawrence non interpreta: si lascia divorare dal personaggio. È animale, vulnerabile, imprevedibile. Ogni silenzio è un terremoto emotivo, ogni gesto una ferita.

È una performance fisica, istintiva, carnale. Di quelle che restano addosso. Di quelle che segnano un prima e un dopo nella carriera di un’attrice.


2. Le inquadrature in 4:3: un cinema che ti cattura e non ti lascia respirare

Lynne Ramsay torna con una regia che fa male e fa bellezza allo stesso tempo. L’uso del formato 4:3 – scelta coraggiosa e non estetica ma narrativa – stringe l’inquadratura sul corpo e sulla mente della protagonista. Niente grandangoli, niente via di fuga. Siamo chiusi nella sua testa, costretti a guardare ciò che il mondo spesso preferisce ignorare: la fragilità mentale, la solitudine, il dolore che non si dice.

Ogni immagine è costruita con precisione chirurgica: luce naturale, dettagli laceranti, frammenti di quotidiano trasformati in poesia disturbante. È cinema che parla attraverso la visione. Cinema che vale da solo il prezzo del biglietto.


3. Lo spettatore dentro l’anima di una donna

Il film non giudica, non spiega, non moralizza. Accompagna.

E qui c’è uno dei punti più potenti di Die My Loveil coinvolgimento emotivo è totale, quasi fisico. Non guardiamo Grace da fuori, le stiamo accanto. Entriamo con lei in un dolore che è anche rabbia, desiderio, claustrofobia, nostalgia, pulsione vitale e distruttiva allo stesso tempo.

È un viaggio nell’anima femminile quando nessuno vede più la donna, ma solo il ruolo: madre, compagna, presenza prevista e scontata. Ramsay apre quella porta. E ci mostra cosa succede quando l’identità implode.


Una frase per capire il film

Come ha dichiarato Lynne Ramsay:

“Al centro di questo racconto c’è la complessità dell’amore, con la sua capacità di trasformarsi e cambiare nel tempo. Ho voluto raccontarlo in modo autentico, vicino alle persone, con spontaneità e anche con leggerezza, soffermandomi su quei momenti che possono sembrare minimi ma che in realtà custodiscono un significato profondo. Questo film parla a chiunque abbia vissuto una relazione: nella vulnerabilità si intrecciano inevitabilmente la sofferenza e la bellezza.”


In conclusioneDie My Love è cinema vissuto sulla pelle. Un film che scuote, che disturba, che chiede di guardare dove di solito distogliamo lo sguardo. Un’esperienza visiva e umana che lascia un segno.

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